Grandi dimissioni: siamo sicuri di voler cambiare vita?

Il fenomeno delle Grandi dimissioni è emerso con grande evidenza con la fine della pandemia e la ripresa teorica del lavoro secondo i vecchi canoni.
“Molti dipendenti hanno iniziato a riesaminare, anche in modo radicale, il bilanciamento tra lavoro e vita privata, finendo in molti casi con il dimettersi, alla ricerca di nuovi equilibri maggiormente orientati verso la qualità della seconda”, spiegano Carlo Majer ed Edgardo Ratti, co-managing Partner di Littler Italia. Sebbene in America nuovi studi stiano evidenziando una fascia di ‘pentiti’ (in particolare, uno su quattro), che oggi tornerebbe sui propri passi, il fenomeno delle Grandi Dimissioni non sembra fermarsi. Ma come capire se lasciare il lavoro, magari, per mettersi in proprio, è la decisione giusta?

“Mettersi in proprio non è una scelta adatta a tutti”

“Mettersi in proprio non è una scelta adatta a tutti – chiarisce Nicola Palmieri, Youtube creator e imprenditore digitale -. Se da una parte puoi godere di grande autonomia decisionale ed economica, dall’altra dovrai affrontare un percorso in solitaria”.
In un periodo di burnout e scarsa motivazione, individuare ciò che appassiona può essere un esercizio non semplice. Basti pensare alle proporzioni che sta assumendo il ‘quiet quitting’, soprattutto tra la Generazione Z. Si tratta dell’ultima tendenza a fare il minimo indispensabile al lavoro, fuori dalla logica del sacrificio e degli straordinari. In America il quiet quitting riguarda metà dei dipendenti e in Europa la situazione non è migliore. Secondo un report di Gallup, sarebbero a malapena il 14% i lavoratori che oggi si sentono davvero coinvolti nella propria attività.

Monetizzare le proprie passioni

Capire, poi, quali passioni siano realmente ‘monetizzabili’ è uno step successivo fondamentale, se si vuole davvero cambiare vita.
“Dobbiamo prepararci a smontare e successivamente tentare di migliorare le idee che abbiamo raccolto, per creare qualcosa di unico e mirato su un pubblico specifico. Un percorso che richiede studio, tempo, metodo e la conoscenza di strumenti digitali – continua Palmieri -. Per capire se un’idea vale il rischio di lasciare il lavoro, dobbiamo testarla sui primi clienti con un Mvp (Minimum Viable Product), ossia un prototipo di base per ottenere i feedback iniziali, in grado di guidarci nell’affinamento del progetto”.

Per molti l’impiego da dipendente resta l’alternativa più adeguata

La strada del lavoro autonomo, riporta Adnkronos, è sì stimolante, ma piena di sfide. Perché si dovrà poi creare e valorizzare il proprio personal brand, individuare i giusti canali con cui promuoversi, imparare tecniche di vendita, e accettare i fallimenti. E così per molti l’impiego da dipendente resta l’alternativa più adeguata, senza rinunciare a quel cambio di equilibrio che si fa sempre più urgente e irreversibile. Un aspetto su cui si giocherà la competitività del mercato del lavoro nei prossimi anni.