Dichiarazione dei redditi 2023: novità e scadenze del modello 730

È online sul sito dell’Agenzia la versione definitiva del modello 730 e delle relative istruzioni per la sua compilazione. Il via libera definitivo dell’Agenzia delle Entrate sulla dichiarazione dei redditi 2023 riguarda i modelli 730, 730-1, 730-2, 730-3, 730-4, e il 730-4 integrativo. Ma cos’è il 730? È il modello per la dichiarazione dei redditi dedicato ai lavoratori dipendenti e pensionati. Il modello 730 presenta diversi vantaggi: il contribuente non deve eseguire calcoli e ottiene il rimborso dell’imposta direttamente nella busta paga o nella rata di pensione, a partire dal mese di luglio (per i pensionati a partire da agosto o settembre). Se, invece, si devono versare delle somme, queste vengono trattenute dalla retribuzione (a partire dal mese di luglio) o dalla pensione (a partire da agosto o settembre) direttamente nella busta paga.

Dedicato a chi ha percepito redditi di lavoro dipendente e assimilati

Possono utilizzare il modello 730 i contribuenti che nel 2022 hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, redditi dei terreni e dei fabbricati, redditi di capitale, redditi di lavoro autonomo per i quali non è richiesta la partita Iva (ad esempio prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente), redditi diversi (ad esempio, redditi di terreni e fabbricati situati all’estero), e alcuni dei redditi assoggettabili a tassazione separata, come ad esempio, i redditi percepiti dagli eredi. A esclusione, però, dei redditi fondiari, d’impresa e derivanti dall’esercizio di arti e professioni.

Anche per i dipendenti senza sostituto d’imposta

Possono presentare il modello 730, anche in assenza di un sostituto d’imposta tenuto a effettuare il conguaglio, i contribuenti che nel 2022 hanno percepito redditi di lavoro dipendente, redditi di pensione e/o alcuni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, e che nel 2023 non hanno un sostituto d’imposta che possa effettuare il conguaglio.In questo caso nel riquadro ‘Dati del sostituto d’imposta che effettuerà il conguaglio’ va barrata la casella ‘Mod. 730 dipendenti senza sostituto’.

Dal 30 aprile è online il modello precompilato

A partire dal 30 aprile, l’Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei lavoratori dipendenti e dei pensionati il modello 730 precompilato nell’area dedicata del sito internet, a cui si accede utilizzando un’identità SPID o CIE o una Carta nazionale dei servizi. Il 730 precompilato deve essere presentato entro il 30 settembre, direttamente all’Agenzia delle Entrate, al Caf, a un professionista o al sostituto d’imposta. I termini che scadono nel giorno di sabato, o in un giorno festivo, sono prorogati al primo giorno feriale successivo.

I falsi miti della cybersecurity

Oggi gli utenti mediamente hanno più competenze informatiche, ma alcuni preconcetti, luoghi comuni e falsi miti sono difficili da sradicare, Panda Security mette in guardia gli utenti con i 10 falsi miti più pericolosi della cybersecurity, per sfatarli e proteggere meglio i dispositivi. Ad esempio, non è vero che gli hacker attaccano solo le grandi aziende. Gli hacker non sono giovanissimi nerd che smanettano per infiltrarsi nella rete dell’FBI o delle grandi corporation: i cybercriminali sono organizzati come imprenditori e prendono di mira anche il singolo utente. E non basta avere un antivirus e un firewall per essere al sicuro: è importante conoscere le minacce e seguire buone norme di comportamento online.

Apple è sempre sicuro?

Anni fa i dispositivi Apple erano pochi e i virus venivano sviluppati per colpire le piattaforme Microsoft. Certo, telefoni e computer Apple sono meno colpiti dai malware, ma non dagli attacchi di social engineering. Spesso, poi, chi lavora in ufficio è abituato a delegare la responsabilità del corretto funzionamento e della sicurezza dei dispositivi al dipartimento IT, ma oggi non è più possibile. Ogni utente finale ha la responsabilità di utilizzare correttamente dispositivi e account, conoscere minacce e rischi online. Inoltre, il mondo del lavoro è cambiato: con le modalità da remoto la superficie di attacco di un’azienda è più vasta. Senza la cooperazione dei singoli sarebbe impossibile monitorarla per intero.

Se subisco un attacco il computer smette di funzionare?

Alla fine degli anni ’90 i virus contagiavano un computer impegnandone tutta la capacità di calcolo e causando i tanto temuti ‘schermi blu’. Oggi, è molto più difficile che il pc si blocchi per esaurimento della ram o sovraccarichi di attività, inoltre i malware sono più sofisticati e funzionano in background cercando di non far scattare gli allarmi. Quanto ai furti di identità, non sono difficili da realizzare e non sono rari: rubare un’identità online significa quasi sempre ottenere l’accesso a un account e utilizzarlo per compiere altri cybercrimini. E non è vero che se non si scarica niente non si possono ‘prendere’ malware: il codice dannoso è presente sui siti di phishing tramite script, o si nasconde come payload nei pacchetti di installazione legittimi.

La navigazione in incognito tutela la privacy?

La modalità di navigazione in incognito impedisce ad altre persone che hanno accesso allo stesso dispositivo di controllare l’attività online, ma non incide sui dati salvati e visibili al produttore del browser e al fornitore di servizi Internet, nonché a eventuali amministratori di reti pubbliche a cui non ci si deve mai connettere! Inoltre, scegliere una buona password non basta: una buona password è quella suggerita da un password manager, e lo smartphone non è più sicuro del computer. Ormai, quando si utilizza lo smartphone è necessario fare ancora più attenzione, perché è un ambiente più ‘chiuso’ e meno controllabile dall’utente. E oltre alle minacce online, lo smartphone è suscettibile a sms truffa, phishing, truffe telefoniche e molto altro.

Spreco alimentare: italiani virtuosi, parsimoniosi o noncuranti?

Virtuosi, ben intenzionati, parsimoniosi o noncuranti? Sono questi i 4 identikit dei consumatori italiani in relazione allo spreco, elaborati dalla ricerca commissionata da Babaco Market a Bva Doxa. Gli italiani, tra ‘virtuosi’, ‘benintenzionati’ e ‘parsimoniosi’ rappresentano il 67% degli intervistati, e mostrano come la consapevolezza dello spreco alimentare spinga la maggioranza ad adottare comportamenti attivi antispreco per affrontare il problema in prima persona. In netta minoranza, gli italiani ‘noncuranti’, ovvero quelli che non si pongono il problema di sprecare il cibo.

“Mi organizzo e faccio tutto il possibile per non sprecare il cibo”

I virtuosi (30%) sono consapevoli dell’entità dello spreco alimentare e dei suoi effetti sull’ambiente, e ritengono molto importante l’obiettivo ONU per la sua riduzione entro il 2030. Presentano un’elevata attenzione a non sprecare cibo, per questo sono molto organizzati: acquistano piccole quantità di cibo, adottando un menu settimanale per regolarizzare acquisti e consumi. Amano molto la frutta e la verdura fresca, sono attenti alla stagionalità, e l’origine italiana dei prodotti è prioritaria nelle scelte di acquisto. Meno sensibili al prezzo, sono i più propensi a usare siti e app che supportano cibi Made in Italy e pratiche antispreco.

“Cerco di non sprecare, ma non ogni tanto capita…”

I ben intenzionati (21%) conoscono il problema dello spreco alimentare e il suo impatto sul cambiamento climatico. Ritengono molto importante agire in prima persona e sono molto attenti a non buttare via cibo. Tuttavia, qualche volta può succedere, perché dimenticano di consumarlo, oppure perché ne acquistano in eccesso. L’azione che adottano più frequentemente per contrastare lo spreco alimentare è porzionare e congelare il cibo. Amano frutta e verdura fresca, soprattutto perché sono considerate parte di una dieta sana. Non sono disposti a spendere di più per prodotti di marca quando acquistano frutta e verdura, ma sono poco attenti alla lista della spesa e alla programmazione settimanale. Per realizzare una migliore organizzazione hanno un interesse positivo verso siti e app che supportano cibi Made in Italy e pratiche antispreco.

“Non spreco per risparmiare” o “Conosco il problema, ma non mi attivo”

I parsimoniosi (16%) sono meno consapevoli dell’entità dello spreco alimentare e del suo impatto sull’ambiente, ma prestando massima attenzione a non sprecare cibo per questioni di risparmio, non buttano via niente grazie a un’organizzazione delle scorte per data di scadenza e all’acquisto di prodotti durevoli. Sono poco amanti di frutta e verdura fresca e più sensibili al prezzo. I noncuranti (33 %) invece hanno consapevolezza del problema, ma ritengono meno importante contrastare questo fenomeno. Prestano scarsa attenzione allo spreco di cibo e capita spesso che ne buttino via. Hanno una gestione degli alimenti poco oculata, si dimenticano di consumare il cibo, ne acquistano troppo o in formati troppo grandi e ne avanzano quando cucinano. Poco amanti di frutta e verdura fresca, stagionalità e provenienza dei prodotti non gli interessano. Acquistano spesso verdure surgelate o conserve, e sono poco organizzati.

Che caratteristiche dovrà avere l’ufficio perfetto?

Dopo il periodo della pandemia, anche i luoghi di lavoro vanno ripensati. Tra smart working, desiderio di appartenza, inclusione e necessità di avere comunque spazi vitali, i luoghi di lavoro non possono più essere gli stessi così come li abbiamo visti e frequentati nel passato. Per delineare quello che sarà il prossimo futuro degli spazi professionali e la loro evoluzione, Nomina ha realizzato una ricerca ad hoc per conto di Europa Risorse Sgr. L’indagine è stata recentemente presentata a Milano.

L’ufficio biofilico 

In base ai dati presentati, emerge che l’ufficio del futuro sarà biofilico. Ovvero un luogo capace di favorire l’integrazione dell’uomo con la natura, il benessere fisico e mentale dei lavoratori, ma anche in grado di ispirare e ospitare momenti di condivisione. 
“Le aziende cercano di andare incontro al lavoratore, in particolare i giovani e i nuovi talenti hanno bisogno di essere convinti ad arrivare in azienda. Pertanto, quasi tutte le società o almeno le più grandi hanno definito una modalità di lavoro ibrido, 50% da remoto e 50% in ufficio. Ma quel 50% di tempo che si spende in ufficio non deve essere più dedicato esclusivamente al lavoro nella propria scrivania, ma deve essere rivolto all’interazione, alla collaborazione. Quindi tutti gli uffici dovrebbero in futuro avere – come nel progetto ‘Welcome, feeling at work’ presentato oggi – una serie di accorgimenti in termini di spazi, layout e attrezzature che agevolino la collaborazione e l’interazione fra le persone. Un esempio su tutti: una volta esisteva la sala riunioni standard, in futuro ci saranno diverse tipologie di sale riunioni, da 2, da 4, da 6, da 8 da più persone, ci saranno luoghi dedicati alla collaborazione informale, per bersi un caffè, pranzare o fare yoga insieme, per interagire e collaborare, invogliando le persone a tornare in ufficio” ha detto Marco Leone, senior advisor Nomisma.  La seconda e grande iniziativa rappresentata da questo progetto e più generale da un trend è quella di un ufficio sostenibile, da un punto di vista ambientale, ma anche sociale. “Questo serve per risparmiare denaro e per trasmettere dei valori, una brand identity, una sensibilità ai temi di sostenibilità che oggi le persone vanno a ricercare”.

L’ufficio ideale

Qual è il rapporto oggi fra lavoratori e ufficio? Che sentimenti suscita lo spazio professionale? Oggi soltanto il 37% dei lavoratori si sente ispirato e solo il 17% prova felicità, mentre il 30% dei rispondenti ha dichiarato di provare ansia e il 38% noia. 
“Negli ultimi 12 mesi, i fattori che hanno determinato uno stato d’animo negativo al lavoro sono dipesi dalla ricerca di maggiori soddisfazioni economiche (45%), da una diminuzione della concentrazione dovuta ad ambienti poco favorevoli per lavorare (24% che sale al 41% per coloro che si recano in ufficio con uno stato di ansia), dalla ricerca di incarichi più mirati e soddisfacenti (26%) e di nuove opportunità di carriera (24%)” osserva Roberta Gabrielli, Senior Project Manager Nomisma.. Di contro, gli elementi in grado di determinare un approccio positivo al lavoro sono stati la flessibilità lavorativa (25%, che sale al 32% per coloro che si recano in ufficio provando sensazioni di felicità), il work-life balance (24%), la coerenza nell’etica e nei valori aziendali (12%) e una completa attenzione al benessere della persona (8%).

Organizzazione in funzione delle esigenze personali

Per i lavoratori, pertanto, l’ufficio ideale del futuro dovrebbe permettere di organizzare il lavoro anche in funzione delle esigenze personali per l’88%, favorire la “contaminazione” positiva (81%) e la condivisione con i cittadini di spazi comuni per attività di wellness e welfare (70%). In conclusione, a guidare la scelta della sede aziendale ideale per i lavoratori sono sia elementi hard – come la vicinanza alla metropolitana, la struttura dell’edificio, l’organizzazione della luce, del verde e degli spazi, e la sua collocazione all’interno della città – che aspetti soft, che impattano sulla crescita professionale della persona e sull’organizzazione del suo lavoro in azienda.

Come creare abiti personalizzati per il tuo bambino

Se non ci hai ancora pensato, ci sono diverse opportunità per creare abiti personalizzati per il tuo bambino, anche se non hai esperienza in fatto di sartoria.

Essere in grado di creare autonomamente gli abiti per i tuoi bambini infatti, significa riuscire a risparmiare considerevolmente ed al tempo stesso avere la certezza circa la qualità dei tessuti e la loro durata nel tempo.

Scegli il tessuto

Dato che il tessuto è una delle cose più importanti nella creazione di un abito o capo d’abbigliamento, è importante che tu scelga con cura quello giusto.

Scegli tessuti morbidi e confortevoli per la pelle delicata dei tuoi bambini, ma soprattutto quelli che per loro sono più comodi da indossare. Inoltre, assicurati che sia un tessuto resistente ai lavaggi e dunque che non si sciupi dopo qualche utilizzo.

Molto importante è inoltre la scelta del colore: puoi coinvolgere i tuoi bambini in questo e chiedere loro quale colore preferiscono.

Disegna il modello dell’abito

Una volta scelto il tessuto, è il momento di disegnare il modello dell’abito o capi d’abbigliamento. Puoi disegnare a mano o utilizzare un software di progettazione.

Assicurati di prendere correttamente le misure del tuo bambino per essere sicuri che l’abito gli calzi perfettamente.

Taglia e cuci

Una volta che hai pronto il tuo modello, è il momento di iniziare con la fase “taglia e cuci”. Ci sono tantissimi moduli che possono essere seguiti passo passo per la creazione di magliette, camicie, pantaloni e qualsiasi altro capo d’abbigliamento tu voglia realizzare.

Considera che procederai molto più speditamente nel lavoro se adopererai una macchina da cucire di quelle moderne e facili da usare anche per i principianti.

Come già saprai infatti, oggi esistono tanti modelli di macchine da cucire che possono rendere il processo di creazione di abiti personalizzati per i tuoi bambini ancora più facile e divertente.

Le macchine da cucire moderne sono dotate di funzioni particolari come il controllo della velocità, la regolazione della lunghezza del punto e la possibilità di cucire tessuti sia spessi che leggeri.

Inoltre, esse presentano una serie di accessori come piedini per la cucitura di cerniere, bottoni e altri dettagli. Questi accessori ti daranno la possibilità di creare capi personalizzati con maggiore precisione e facilità, a prescindere dal fatto che tu abbia esperienza o meno.

Tra l’altro queste funzioni ti permettono di creare modelli più belli ed elaborati, per un risultato finale certamente sorprendente.

Aggiungi i dettagli

Una volta che il tuo capo d’abbigliamento è cucito, sarà è il momento di aggiungere i dettagli che lo renderanno unico e particolare. Ad esempio, puoi aggiungere bottoni, nastri o paillettes a piacimento.

Non ci sono limiti alla creatività, ed in questo puoi coinvolgere anche i tuoi bambini chiedendo loro quale accessorio o dettaglio preferiscano venga inserito nel loro capo di abbigliamento.

Supervisione finale

Infine, una volta che l’abito o capo d’abbigliamento sarà completo, potrai effettuare una supervisione finale per assicurarti che non ci siano imperfezioni.

Stiralo e controlla che non ci siano fili sporgenti o piccole correzioni da fare. Assicurati che sia perfetto per il tuo bambino e faglielo provare per vedere se è anche comodo da indossare.

Conclusione

Creare un abito personalizzato per il tuo bambino può essere un’esperienza divertente e gratificante, in quanto ti permette di creare qualcosa di unico e speciale per il tuo bambino.

Inoltre, ti dà la possibilità di esprimere la tua creatività ed al tempo stesso anche di risparmiare denaro, il che è un vantaggio da considerare.

Detto questo, siamo sicuri che i tuoi bambini adoreranno indossare i capi che hai creato per loro con amore!

Gli italiani invecchiano, e le aziende pure: perchè serve il ricambio generazionale?

Il futuro è… grigio. E mai come in questo caso la definizione è conforme alla realtà. In base agli ultimi dati raccolti ed elaborati da Unioncamere e da Infocamere, entro il 2050 in Italia ci saranno più pensionati che lavoratori. Tra l’altro, i continui aumenti dell’età pensionabile non faranno altro che ridurre la produttività dell’Italia, scatenando la tempesta perfetta.

Aziende sempre più senior

La fotografia scattata da Unioncamere e infocamere è di dieci anni, dal 2012 al 2022. Rivela in particolare che i giovani under 30 con cariche di governance nelle aziende si sono ridotti di 130 mila unità mentre gli over 70 sono cresciuti di 280 mila.Nell’ultimo decennio, i titolari di impresa tra i 18-29 anni sono calati del 22,9% e come fa notare lo studio, questi numeri si spiegano con “l’effetto statistico della demografia negativa in una misura che può essere stimata al 20%, le coorti si riducono, le persone passano nelle classi di età superiori e non vengono rimpiazzate da nuovi ingressi”. Il tessuto imprenditoriale italiano, vera e propria colonna portante del sistema economico, si sta lentamente estinguendo in assenza di nuove risorse umane.

Il boom della fascia over 50

Se ci spostiamo sulla fascia over 50, c’è stato invece un vero e proprio boom: dal 2012 al 2022, quasi tutte le cariche (titolare, amministratore, dirigente tecnico) crescono tra il 15 e il 25%. In termini assoluti ci sono in più 188 mila titolari di impresa, 365 mila amministratori e 65 mila dirigenti tecnici, guidati da over 50.
Alla luce di questi numeri, è evidente come l’effetto demografico stia portando le imprese italiane verso un’obsolescenza umana ma anche e soprattutto di competenze.
Il re-skilling e l’age management in azienda non viene affrontato seriamente pur in presenza di organici non più giovani. Come rilevato da una ricerca condotta da Fondazione Sodalitas, AIDP (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) e Università Cattolica del Sacro Cuore, 1 azienda su 4 si occupa di age management in modo sistematico. Solo il 14% delle imprese implementa percorsi di mobilità interna o di sviluppo di carriera per i propri dipendenti senior.

Serve un serio piano di rinnovamento delle risorse umane

L’invecchiamento del personale finora è stato affrontato soltanto sul fronte dei benefit e delle politiche di welfare aziendale, ma senza approfondire invece l’aggiornamento delle skills, il ricambio e l’integrazione generazionale. In uno scenario economico sempre più tecnologicamente complesso, riferisce Adnkronos, l’Italia sta soffrendo non tanto per un ridotto numero di imprese quanto per imprese dove manca un serio rinnovamento delle risorse umane. La combinazione di questo quadro con l’alto debito pubblico rappresentano la tempesta perfetta in un Paese dove l’assenza di capitale umano qualificato va ad aggiungersi ad un sistema imprenditoriale che si va di anno in anno impoverendo di nuove energie.

Car sharing: nell’era post-covid fatica a riprendersi 

Rispetto al 2020, nel 2021 il car sharing in Italia è in leggera ripresa, ma ancora lontano dai livelli del 2019. Secondo l’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility, il car sharing free-floating e lo station-based risultano in difficoltà, anche se i numeri fanno intuire un cambiamento nella modalità d’uso.
Il numero di noleggi free-floanting (privo di stalli di ritiro e riconsegna), è inferiore del 52% rispetto al 2019, e dell’8,6% rispetto al 2020. A questo, però, occorre affiancare il dato dei chilometri percorsi e quello della durata media per noleggio. I primi sono aumentati dell’8,8% rispetto al 2020, mentre la percorrenza media è aumentata del 33,7% (da 7,4 km a 9,9 km).
La durata media per noleggio, invece, è aumentata del 34% rispetto al 2019, da 32,6 a 43,7 minuti.

Monopattino e bici sono più adatti alle nuove esigenze degli utenti

I due dati portano a dedurre che il car sharing sta cambiando pelle per rispondere a esigenze diverse rispetto a quelle del passato. Non è un caso, infatti, che anche la tipologia dei veicoli si orienti vero auto a quattro porte e con la possibilità di assolvere a più funzioni. Se poi si comparano i dati relativi al car sharing con quelli della forte ascesa della micromobilità, è probabile che in passato il car sharing assolvesse a funzioni che non gli erano proprie, e che ora sono ben soddisfatte da mezzi come il monopattino e la bici, ritenuti dagli utenti più adatti alle proprie esigenze.

Flotta free-floating -10%

Il tasso di rotazione del free-floating in Italia mostra un dato medio del 2,9, con un interessante picco a Torino, che potrebbe far presuppore la possibilità di ingresso per nuovi operatori. Di pari passo con la contrazione dei noleggi (8%) anche la flotta di veicoli destinati al car sharing free-floating è diminuita del 10%, tornando a valori inferiori a quelli del 2016. Va ricordato che la diminuzione della flotta non dipende solo da un minor numero di noleggi, ma anche dalla difficoltà per alcuni operatori di approvvigionamento auto in fase di rinnovo della flotta. Una nota positiva riguarda le immatricolazioni dei veicoli elettrici, ripartiti con un gande sprint: +200% rispetto al 2020.

Station-based: noleggi in ripresa rispetto al 2020

Il numero di noleggi del car sharing station-based (ritiro e riconsegna in appositi stalli), è a -19% rispetto al 2019, ma in ripresa del 22,2% rispetto al 2020. 
Si tratta di volumi inferiori rispetto al free-floating, di cui lo station-based sta diventando un servizio complementare. I chilometri percorsi sono aumentati del 13,6% rispetto al 2020, la percorrenza media è diminuita del 7,3% (da 25,8 km a 23,9 km), e la durata media per noleggio è diminuita del 10% rispetto al 2020. Le immatricolazioni sono -5% rispetto al 2020, invertendo per la prima volta la tendenza alla crescita ininterrotta dal 2015. Le immatricolazioni dei veicoli elettrici, invece, sono a +17%, toccando il record del 45% del totale dei veicoli presenti nelle flotte station-based.

Italiani dormiglioni? Sì, e svegliarsi è un’impresa 

Difficile alzarsi dal letto appena suona la sveglia, almeno per un terzo degli italiani. Insomma, siamo un popolo di dormiglioni, che appena può si concede qualche minuto di sonno in più. In particolare, il suono della sveglia può risultare davvero traumatico, tanto che numerose persone mettono in atto una serie di strategie ad hoc. Lo rivela Emma – The Sleep Company che, attraverso un’indagine, ha esplorato il rapporto degli abitanti del Bel Paese con il trillo del mattino. Aprire gli occhi la mattina non è sempre facile, basti pensare che per quasi 1 italiano su 5 (17%) è necessario che suonino più sveglie o che ci sia qualcuno che fisicamente vada a chiamarlo in camera. Non solo, neanche smettere di crogiolarsi sotto le coperte è semplice, basti pensare che per 1 su 10 (10%) trascorrono ben 30 minuti dal suono della sveglia al momento effettivo di alzarsi dal letto.

Meglio non posticipare troppo

Posticipare la sveglia è una tattica di molti abitanti dello Stivale; infatti, più di un terzo di loro (36%) lo fa quotidianamente, il 16% solo in settimana e il 15% durante i weekend. Tra chi la mattina si concede qualche secondo di sonno in più con il pulsante “snooze”, più della metà (52%) si limita a rimandare la sveglia una volta, ma non manca chi lo schiaccia almeno un paio di volte (19%) o chi posticipa oltre le tre volte (22%). Occhio a questa abitudine: secondo Theresa Schnorbach, psicologa specializzata in terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia e Sleep Scientist, consulente di Emma – The Sleep Company, non è consigliabile posticipare la sveglia più volte. Sarebbe invece meglio avere il device posizionato in un luogo non raggiungibile dal letto, per costringere i più dormiglioni ad alzarsi quanto prima.”Far trascorrere poco tempo dal suono della sveglia all’alzarsi effettivamente dal letto è una scelta soggettiva e personale” spiega l’esperta. “Se si è in grado di adempiere ai propri impegni e appuntamenti indugiando qualche minuto in più a letto, questo non è un problema serio. Diversamente, trascorrere più tempo del previsto a letto porta a una diminuzione del valore del riposo, in quanto l’idea di letto dovrebbe essere sempre concettualmente associata all’azione del dormire”. Inoltre, continuare a rimandare la sveglia potrebbe suggerire anche la necessità di rivedere la propria routine di riposo ed essere un segno di un sonno poco ristoratore, perché non si è dormito a sufficienza o per via di un riposo notturno disturbato.

Dormire nel weekend, non solo benefici

Per molte persone, il fine settimana rappresenta una piacevole opportunità e una felice ricompensa per recuperare il “debito” di sonno accumulato nella settimana tra impegni lavorativi, sociali e familiari. Nel Bel Paese sono più di 2 persone su 5 (46%) a dichiarare di non puntare la sveglia nel weekend concedendosi un paio di giorni senza il trillo che caratterizza invece le loro giornate lavorative. In base ad alcuni studi, se dormire fino a tardi nel fine settimana può aiutare a compensare un numero minore di ore di sonno settimanali, esiste anche un possibile impatto negativo. Nello specifico, “Quando la propria agenda sociale è in conflitto con il ritmo naturale del sonno, si crea il cosiddetto ‘jet lag’ sociale. Tanto più questo è maggiore e più sono le probabilità di riscontrare tassi elevati di obesità, infiammazione, fumo e consumo di alcol. Inoltre, una routine di sonno yo-yo, ovvero non regolare e con discrepanze tra orari di sveglia infrasettimanale e nel weekend, può cambiare il ritmo circadiano, rendendo più difficile l’addormentamento della domenica sera. Infine, anche se si dorme più a lungo nei fine settimana, non è comunque possibile recuperare l’intera quantità di sonno perso nei giorni feriali. Vale sempre la pena dare la priorità al sonno durante la settimana per quanto possibile”, spiega l’esperta.

Over 40: come cambiare lavoro senza problemi?

Crisi di mezza età? Più che altro si tratta di decisioni maturate a seguito di un’attenta riflessione, accompagnate dal desiderio di rimettersi in gioco. Sono tante infatti le persone che arrivano alla soglia dei 40 anni, e la superano, e scelgono di dare una svolta alla propria vita e alla propria carriera. Secondo gli esperti di Jobiri, il career advisor digitale che utilizza l’Intelligenza Artificiale per supportare i professionisti, la cosa importante è non lasciarsi influenzare dagli stereotipi, come il falso mito secondo cui passati i 40 anni le aziende non assumono più. In realtà non è così: il mercato del lavoro è ricco di opportunità anche per gli over 40. Quello che serve è la capacità e la prontezza di coglierle al volo.

Acquisire un nuovo know how

Sono diversi i motivi per cui un quarantenne decide di cambiare lavoro, un licenziamento, situazioni conflittuali nell’ambiente professionale, demotivazione, o semplicemente, voglia di affrontare nuove sfide. Una volta appurata la volontà di cambiare lavoro, si pone un’altra questione e cioè se si desidera rimanere nel medesimo settore di mercato o si propenda per un cambiamento radicale. Chiarito anche questo punto, non resta che seguire alcuni semplici consigli. Secondo gli esperti di Jobiri, per cambiare lavoro a 40 anni con successo bisogna innanzitutto investire sulla propria formazione. Che si tratti di rimettersi sui libri o seguire un corso formativo, il know how è importante per qualsiasi professione.

Ottenere il lavoro desiderato senza ansia e stress

Al contempo, è utile aggiornare il proprio CV, anche alla luce di eventuali risultati raggiunti in ambito formativo, come la frequentazione di scuole o corsi specifici, e coltivare costantemente la propria rete di contatti, perché spesso è proprio tramite le relazioni con gli altri che emergono nuove opportunità di lavoro. Iniziare un percorso di Career Coaching, poi, potrebbe aiutare molto per affrontare un cambiamento lavorativo dopo i 40 anni, permettendo di mettere a fuoco le criticità che non consentono di raggiungere gli obiettivi professionali e individuare le tecniche migliori per ottenere il lavoro desiderato senza ansia e stress.

Mantenere un atteggiamento positivo e proattivo

Non bisogna poi dimenticare l’aspetto psicologico. Per cercare lavoro, spiegano gli esperti di Jobiri, bisogna avere sempre un atteggiamento positivo e proattivo, a prescindere dall’età.
Quando poi si tratta di affrontare una sfida come quella di cambiare professione dopo i 40 anni, vedere il bicchiere mezzo pieno e fare affidamento sulle proprie capacità è ancora più importante.

Grandi dimissioni: siamo sicuri di voler cambiare vita?

Il fenomeno delle Grandi dimissioni è emerso con grande evidenza con la fine della pandemia e la ripresa teorica del lavoro secondo i vecchi canoni.
“Molti dipendenti hanno iniziato a riesaminare, anche in modo radicale, il bilanciamento tra lavoro e vita privata, finendo in molti casi con il dimettersi, alla ricerca di nuovi equilibri maggiormente orientati verso la qualità della seconda”, spiegano Carlo Majer ed Edgardo Ratti, co-managing Partner di Littler Italia. Sebbene in America nuovi studi stiano evidenziando una fascia di ‘pentiti’ (in particolare, uno su quattro), che oggi tornerebbe sui propri passi, il fenomeno delle Grandi Dimissioni non sembra fermarsi. Ma come capire se lasciare il lavoro, magari, per mettersi in proprio, è la decisione giusta?

“Mettersi in proprio non è una scelta adatta a tutti”

“Mettersi in proprio non è una scelta adatta a tutti – chiarisce Nicola Palmieri, Youtube creator e imprenditore digitale -. Se da una parte puoi godere di grande autonomia decisionale ed economica, dall’altra dovrai affrontare un percorso in solitaria”.
In un periodo di burnout e scarsa motivazione, individuare ciò che appassiona può essere un esercizio non semplice. Basti pensare alle proporzioni che sta assumendo il ‘quiet quitting’, soprattutto tra la Generazione Z. Si tratta dell’ultima tendenza a fare il minimo indispensabile al lavoro, fuori dalla logica del sacrificio e degli straordinari. In America il quiet quitting riguarda metà dei dipendenti e in Europa la situazione non è migliore. Secondo un report di Gallup, sarebbero a malapena il 14% i lavoratori che oggi si sentono davvero coinvolti nella propria attività.

Monetizzare le proprie passioni

Capire, poi, quali passioni siano realmente ‘monetizzabili’ è uno step successivo fondamentale, se si vuole davvero cambiare vita.
“Dobbiamo prepararci a smontare e successivamente tentare di migliorare le idee che abbiamo raccolto, per creare qualcosa di unico e mirato su un pubblico specifico. Un percorso che richiede studio, tempo, metodo e la conoscenza di strumenti digitali – continua Palmieri -. Per capire se un’idea vale il rischio di lasciare il lavoro, dobbiamo testarla sui primi clienti con un Mvp (Minimum Viable Product), ossia un prototipo di base per ottenere i feedback iniziali, in grado di guidarci nell’affinamento del progetto”.

Per molti l’impiego da dipendente resta l’alternativa più adeguata

La strada del lavoro autonomo, riporta Adnkronos, è sì stimolante, ma piena di sfide. Perché si dovrà poi creare e valorizzare il proprio personal brand, individuare i giusti canali con cui promuoversi, imparare tecniche di vendita, e accettare i fallimenti. E così per molti l’impiego da dipendente resta l’alternativa più adeguata, senza rinunciare a quel cambio di equilibrio che si fa sempre più urgente e irreversibile. Un aspetto su cui si giocherà la competitività del mercato del lavoro nei prossimi anni.