Connessione Internet efficiente: per i giovani è una priorità, anche a costo di pagarla di più

Il 72% dei giovani tra i 18 e i 24 anni sarebbe disposto a pagare di più per una connessione internet con prestazioni migliori, e tra questi, il 35% sarebbe disposto ad aggiungere fino a 20 euro in più. Inoltre, l’87% di coloro che sono stati intervistati nella stessa fascia di età desidera una connessione più sostenibile e sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto per ottenerla. Questi sono solo alcuni dei risultati emersi dalla ricerca Cisco Broadband Survey, che ha confrontato il livello di soddisfazione, le abitudini e le esigenze dei consumatori di 12 paesi dell’area EMEA, inclusa l’Italia, riguardo alla connessione internet a banda larga domestica.

Rete fissa per la maggior parte degli italiani

La maggior parte degli intervistati italiani ha una connessione internet fissa (56% del campione, di cui il 31% in fibra e il 24% in ADSL), mentre il 37% utilizza anche una connessione mobile a casa (direttamente su dispositivi mobili, router/hub 4 o 5G o hotspot mobile utilizzato dal PC). Alcuni utilizzano connessioni satellitari o alternative.

Prestazioni e sostenibilità in primo piano

Nonostante il costo della vita sia aumentato negli ultimi tempi, colpendo soprattutto i giovani, sono proprio i ventenni a dichiararsi disponibili a spendere di più per ottenere prestazioni migliori e sostenibilità ambientale. Tuttavia, la fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni è anche quella più indecisa riguardo a un eventuale cambio di connessione, principalmente a causa di esperienze deludenti in passato. Nonostante ciò, i giovani hanno ancora l’intenzione di migliorare la loro connettività attuale. Il 35% dei giovani tra i 18 e i 24 anni vorrebbe passare a un servizio di connessione migliore entro i prossimi 12 mesi, mentre la percentuale si ferma al 27% nella fascia di età compresa tra i 45 e i 54 anni. Inoltre, i motivi per cui gli utenti desiderano aggiornare la loro connessione internet domestica differiscono a seconda dell’età. La velocità e l’affidabilità sono tra i motivi principali per tutte le fasce d’età, ma per i giovani la sicurezza (che è prioritaria per il 44% della fascia di età compresa tra i 45 e i 54 anni) è meno importante, mentre la notorietà del brand del provider di servizi internet diventa un fattore chiave.

I ragazzi utilizzano soprattutto il mobile

Per quanto riguarda l’utilizzo della connessione, i giovani utilizzano principalmente dispositivi mobili per le proprie esigenze quotidiane, a differenza delle generazioni più anziane che fanno ampio uso della connessione domestica. Ad esempio, solo il 49% dei giovani tra i 18 e i 24 anni utilizza la connessione di casa per lo shopping e l’informazione, rispetto al 75% dei genitori. Inoltre, il 50% dei giovani utilizza la connessione di casa per servizi come l’acquisto di biglietti o operazioni bancarie, rispetto al 74% dei genitori.
È evidente che per i giovani la connessione a internet è principalmente associata all’utilizzo di uno smartphone per comunicare, informarsi e gestire la propria vita. Tuttavia, ciò non significa necessariamente l’utilizzo di una connessione mobile, poiché quando si è a casa, ad esempio, ci si affida alla rete domestica. Se questa non soddisfa le esigenze, ad esempio a causa della condivisione della larghezza di banda con il resto della famiglia, può essere un problema. Capire le priorità e le abitudini dei giovani è fondamentale per i fornitori di servizi di connettività, considerando che sono i consumatori del futuro.

Tecnologie emergenti: una nuova era per creatività, società e privacy 

In un contesto di instabilità e incertezza il crescente accesso dei cittadini di tutto il mondo a tecnologie quali Intelligenza artificiale, web3 e token, sta dando il via a una nuova era per la creatività, la società e la privacy. Secondo le previsioni del rapporto Accenture Life Trends 2023 le aziende dovranno prepararsi a modificare i modelli di business. Solo così potranno mantenere il passo con il cambiamento del comportamento dei clienti, che trovano sempre più valore nelle tecnologie emergenti. Il Rapporto identifica i principali macro-movimenti globali dei comportamenti che plasmeranno business, cultura e società nel corso del prossimo anno. Dalla necessità di imparare a vivere ai tempi della permacrisis alla volontà di sentirsi parte delle comunità online, dalla mancanza dei benefici intangibili legati al modo di lavorare più tradizionale all’utilizzo dell’AI per accelerare la creatività, alla fine della crisi dell’identità digitale posta dai portafogli digitali.

Da brand a comunità: cosa influenzerà acquisti e lavoro

Il mondo sta passando da una catastrofe globale all’altra, ma le persone si adattano all’instabilità, oscillando tra quattro possibili risposte. Lotta, fuga, concentrazione e immobilità influenzeranno gli acquisti e il modo in cui si considerano i brand. In un mondo instabile, poi, le persone cercano gruppi a cui sentono di appartenere. Di conseguenza, i brandmoderni saranno costruiti come comunità, ridisegnando la fedeltà e il coinvolgimento con il marchio.
E mentre continua il dibattito sul ritorno in ufficio, tutti hanno sentito la perdita di benefici intangibili come, ad esempio, gli incontri casuali con i colleghi. Le conseguenze di questa perdita diventano chiare. Senza il coinvolgimento personale, le aziende rischiano di perdere mentorship, innovazione, cultura e capacità di inclusione.

Come distinguersi nel marasma di contenuti generati dalla AI? 

L’AI è un nuovo strumento del processo creativo per tutti. Ormai le reti neurali sono disponibili per creare linguaggi, immagini e musica con pochissimo sforzo e senza il bisogno di competenze tecniche.  Anche gli sviluppi nell’ambito dell’AI stanno arrivando sul mercato a una velocità sorprendente. In scala, si tratta di una svolta incredibile per la creatività. Le aziende devono quindi considerare come distinguersi nel ‘marasma’ di contenuti generati dall’AI e come utilizzarla per migliorare la velocità e l’originalità dell’innovazione.

Token e portafogli digitali: i dati tornano in possesso degli utenti

L’uso, e l’abuso, dei dati personali è da tempo in attesa di trasformazione. La trasparenza e la fiducia nelle esperienze dei brand online stanno di pari passo rapidamente diminuendo. Ma il controllo dei propri dati potrebbe presto tornare agli utenti. I portafogli digitali contenenti token (che rappresentano metodi di pagamento, documenti d’identità, carte fedeltà e altro ancora) consentiranno alle persone di decidere quanti dati condividere con aziende, e perfino di venderli a queste ultime.
Questa è un’ottima notizia per i brandi dati che le persone forniranno direttamente saranno ancora più preziosi delle informazioni di terze parti, che non saranno più raccolte in un mondo senza cookie.

Casa: resta una priorità, ma pesa la perdita di potere d’acquisto 

Nel 2023 il clima di fiducia delle famiglie italiane recepisce i segnali positivi provenienti dall’aumento della produzione industriale e dagli interventi di sostegno varati dal Governo, ma la capacità reddituale delle famiglie lascia intravedere campanelli dall’allarme. Per quasi la metà dei nuclei le disponibilità economiche sono appena sufficienti a far fronte alle spese primarie. 
La conseguenza della perdita di potere d’acquisto si traduce in una minore quota di famiglie che riesce a risparmiare (33,8% nel 2023) con un impatto diretto sulle tendenze legate all’abitare. Ovvero, l’acquisto di un’abitazione o la scelta di vivere in affitto. Nel complesso però permane il grande interesse degli italiani nei confronti della casa.  È quanto emerge dall’Indagine sulle famiglie 2023 presentata da Nomisma all’interno del 16° rapporto sulla finanza per l’abitare. 

Acquisto o affitto?

Sono circa 3,1 milioni le famiglie intenzionate ad acquistare un’abitazione nei prossimi 12 mesi. L’acquisto di una prima casa riguarda complessivamente l’81,2% delle motivazioni manifestate dagli intervistati. Quanto alla locazione, dopo la forte ripresa nel 2022, si assiste a una flessione dei nuovi contratti. La quota di famiglie che ha fatto ricorso all’affitto di una o più abitazioni per un periodo superiore a 6 mesi passa dal 5,6% nel 2022 al 5% nei primi mesi del 2023.  Le motivazioni che sorreggono la scelta di vivere in locazione confermano come per il 56% delle famiglie l’affitto rappresenti l’unica soluzione percorribile, a causa delle risorse economiche insufficienti ad accedere al mercato della compravendita. E il 13%, considera la proprietà non conveniente.

Rate canone e finanziamenti

La quota di famiglie che nel 2023 prevede di avere difficoltà nel pagare il canone di locazione sale al 34,8% (+3% vs 2022).  Il 42,7%, però, farebbe sicuramente ricorso al finanziamento per l’acquisto dell’abitazione, mentre il 35,2% è intenzionato con buona probabilità a ricorrere al credito. Rispetto al 2022 la diminuzione della quota di potenziali proprietari che intende rivolgersi al sistema bancario per sostenere l’acquisto dell’abitazione è imputabile a un’autoesclusione causata da sistemi di finanziamento difficilmente accessibili, e da una maggiore onerosità derivante dal rialzo dei tassi di interesse.

Mutui e qualità del credito

La quota di nuclei che ha difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo scende al 6% (7,5% 2022), ma sale al 27,8% la percentuale di famiglie che nei prossimi 12 mesi teme di incontrare difficoltà nel rimborsare regolarmente le rate. Rispetto alla qualità del credito erogato, nel quarto trimestre 2022 la riduzione delle sofferenze relative ai prestiti per acquisto di abitazioni è risultata più marcata rispetto al credito al consumo, anche grazie a politiche di erogazione particolarmente attente alla sostenibilità del debito. Nonostante ciò, l’incidenza delle sofferenze legate ai mutui sul totale di sistema è leggermente aumentata, attestandosi al 13,6%. In questo contesto il processo di alleggerimento dei bilanci bancari è stato garantito dalla cartolarizzazione dei mutui, proseguita anche nel 2023. Tanto che a marzo di quest’anno i prestiti cancellati delle famiglie residenti ammontavano a 51,5 miliardi di euro. 

Per le famiglie italiane gli stipendi sono inadeguati al costo della vita

Oggi molti nuclei familiari lamentano un peggioramento della propria situazione economica. Tra le famiglie che affermano di contrarre debiti o che prelevano risparmi per far quadrare il proprio bilancio, una su due dichiara di poter contare su un reddito inadeguato rispetto al costo della vita.
Crescita dell’inflazione, perdita della capacità di spesa e costi energetici elevati costringono infatti un numero sempre più alto di famiglie a vivere situazioni di indebitamento. 
Ma secondo l’Osservatorio di Nomisma ‘SalvaLaTuaCasa’, promosso da Esdebitami Retake, tra le motivazioni che contribuiscono a far crescere le difficoltà economiche degli italiani si aggiungono anche le elevate spese legate alla casa (27%), difficoltà lavorative (17%), inaspettati problemi di salute, o cambiamenti nella composizione del nucleo familiare.

Italiani più fragili e insolventi

Quali sono le caratteristiche delle famiglie più fragili che rischiano di trovarsi maggiormente in difficoltà? Secondo l’Osservatorio le famiglie ‘insolventi’, sono costituite da nuclei composti da un singolo genitore con 2 persone a carico e con un reddito complessivo mensile inferiore ai 2.400 euro.
Si tratta principalmente di donne, in una fascia d’età compresa tra 25 e 34 anni o tra 45 e 64 anni, con un titolo di studio medio. A incontrare difficoltà sono anche le cosiddette famiglie ‘in bilico’, con un reddito familiare inferiore ai 1.800 euro al mese e un lavoro prevalentemente come libero professionista.

L’inflazione si impenna, si riduce il budget per attività superflue

Nell’ultimo anno la situazione patrimoniale complessiva è nettamente peggiorata per il 35% delle famiglie insolventi, mentre per il 25% è peggiorata lievemente. Una percentuale più alta se si considerano le famiglie ‘in bilico’, rispettivamente 36% e 31%. Il peggioramento è riconducibile all’impatto dell’impennata delle utenze domestiche, e soprattutto, del pesante rialzo dell’inflazione su molti beni e servizi di prima necessità.
Ma a cambiare rispetto a un anno fa sono anche i comportamenti di spesa, che vedono la riduzione del budget per le attività superflue. Infatti, i tagli maggiori riguardano il tempo libero (29%), attività culturali (27%), attività sportive (21%) o istruzione (9%).

Meno soddisfazione nei confronti della vita

Alcune famiglie però hanno dovuto ridurre le spese anche per alcuni beni primari come, ad esempio, quelle per i generi alimentari (-6%) e le spese sanitarie (-9%).
Questa situazione ha portato a un indebolimento della situazione patrimoniale generale tale per cui il 37% delle famiglie dichiara di riuscire a malapena a far quadrare il bilancio, mentre il 3% si è trovato costretto a contrarre un debito per spalmare la spesa in modo da incidere il meno possibile sul bilancio mensile. Nel prossimo anno, riporta Adnkronos, 1 famiglia su 2 prevede un peggioramento della propria situazione economica, cui si aggiunge un calo di soddisfazione nei confronti della vita per il 19% degli intervistati.

Bandiere Blu 2023: Liguria e Puglia ai primi posti della classifica

Con riconoscimenti a 226 Comuni e 84 approdi turistici, l’edizione 2023 della classifica delle spiagge più belle e pulite d’Italia evidenzia un trend di crescita del numero di località ‘premiate’ rispetto all’anno scorso. I Comuni che hanno ottenuto la Bandiera Blu sono infatti 16 in più rispetto ai 210 del 2022. Di questi, 17 sono nuovi ingressi e uno il Comune non confermato. In sintesi, si tratta di 226 Comuni italiani per complessive 458 spiagge, che corrispondono a circa l’11% delle spiagge premiate a livello mondiale.  E quest’anno sono le spiagge della Liguria e della Puglia le più belle d’Italia. Sono infatti i litorali di queste due regioni a comandare la classifica delle Bandiere Blu 2023, stilata dalla Foundation for Environmental Education (Fee).

Liguria premiata con 34 località, Puglia sale a 22 riconoscimenti

In particolare, la Liguria segna 2 nuovi ingressi, Laigueglia e Sori, e raggiunge 34 località. La Puglia sale a 22 riconoscimenti con 4 nuovi Comuni, Gallipoli, Isole Tremiti, Leporano, Vieste.
Alle prime due regioni seguono, con 19 Bandiere, Campania e Toscana, entrambe con un nuovo ingresso, rispettivamente San Mauro Cilento e Orbetello, e la Calabria, con due nuove Bandiere Blu, Catanzaro e Rocca Imperiale.
Le Marche salgono a 18, con un nuovo ingresso, Porto San Giorgio, la Sardegna conferma le sue 15 località, l’Abruzzo resta a 14, la Sicilia a 11, il Lazio a 10. Rimangono invariate anche le 10 bandiere del Trentino Alto Adige, mentre l’Emilia Romagna vede premiate 9 località, con un’uscita, Cattolica, e un nuovo ingresso, Gatteo.

Quattro nuovi ingressi per le Bandiere sui Laghi

Sono riconfermate le 9 Bandiere del Veneto, e la Basilicata conferma le sue 5 località. Si registrano poi 2 nuovi ingressi in Piemonte, San Maurizio D’Opaglio e Verbania, che ottiene 5 Bandiere, il Friuli Venezia Giulia conferma le 2 dell’anno precedente, e la Lombardia sale a 3 Comuni Bandiera Blu, con due nuovi ingressi, Sirmione e Toscano Maderno. Il Molise conquista 2 Bandiere con un nuovo Comune, Termoli. Complessivamente, quest’anno le Bandiere sui laghi sono 21, con 4 nuovi ingressi.

Eccellenze del turismo nazionale in crescita continua

“Anche quest’anno registriamo un notevole incremento dei Comuni che hanno ottenuto il riconoscimento della Bandiera Blu, ben 226 con 17 nuovi ingressi. Una progressione che cresce di anno in anno: basti pensare che nel 1987, primo anno, i Comuni Bandiera Blu in Italia sono 37, nel 1997 arrivano a 48, nel 2007 a 97, nel 2017 diventano 164, fino ad arrivare a oggi, con sempre più località che si avvicinano al percorso facendo una chiara scelta di campo per la sostenibilità – commenta Claudio Mazza, presidente della Fondazione Fee Italia -. I Comuni Bandiere Blu rappresentano circa un quarto di tutte le spiagge italiane. Parliamo di eccellenze del turismo nazionale che possono contare su una strategia articolata e una visione che non tralascia alcun elemento presente sul territorio”.

Minacce informatiche: solo il 7% delle aziende italiane è in grado di difendersi

Cisco ha realizzato un rapporto dettagliato per misurare la preparazione e la resilienza delle aziende nei confronti della criminalità informatica, il Cybersecurity Readiness Index 2023. E a quanto emerge dalla ricerca soltanto il 7% delle aziende italiane, contro una percentuale più che doppia a livello globale, ritiene di essere in grado di difendersi da un attacco informatico. Per realizzare il Cybersecurity Readiness Index Cisco ha preso come criteri di misurazione 5 pillar, che costituiscono la principale linea di difesa di un’azienda, ovvero, Identità, Dispositivi, Sicurezza della rete, Carichi di lavoro applicativi, e Dati, misurandone il grado di preparazione e maturità delle aziende.
L’indagine è stata condotta su un campione di 6.700 professionisti provenienti da 27 paesi, fra cui l’Italia, che operano nell’ambito della cybersecurity.

In ritardo sulla sicurezza della rete

Per quanto riguarda l’Identità, è necessario fare progressi in questo ambito, poiché solo il 13% delle aziende italiane è classificato come ‘Maturo’.
Quanto ai Dispositivi, la percentuale più alta di aziende in fase Matura è del 20%. Anche per la Sicurezza della rete le aziende sono in ritardo, con il 72% degli intervistati che si trova nella fase Iniziale o Formativa.
Ma è quella dei Carichi di lavoro applicativi l’area in cui le aziende risultano meno preparate, con l’80% delle stesse in fase Iniziale o Formativa, mentre per i Dati il numero di aziende in fase Matura è pari al 14%.

Una maturità inferiore alla media globale 

Agli intervistati è stato chiesto di indicare quali sono le soluzioni finora adottate e qual è il loro attuale status. Al termine dell’indagine le aziende sono state classificate nei quattro gradi di preparazione: Principiante, Formativo, Progressivo, Maturo. In Italia solo il 7% delle aziende è nella fase Matura, l’8% si trova ancora in quella Principiante e il 61% in quella Formativa. Le aziende italiane mostrano quindi una preparazione in materia di cybersecurity molto inferiore alla media globale. A livello globale le aziende in uno stadio Maturo sono infatti il 15%. Nei prossimi 12-24 mesi, inoltre, il 75% degli intervistati si aspetta un’interruzione della propria attività a causa di un attacco informatico, mentre il 31% dichiara di averne subito uno nel corso dell’ultimo anno.

Come colmare il gap di preparazione?

Il 25% delle aziende colpite ha dovuto spendere almeno 500.000 dollari per riprendere il controllo della propria attività,  riporta Adnkronos. Per questo l’87% degli intervistati prevede di aumentare il proprio budget per la sicurezza di almeno il 10% nei prossimi 12 mesi.
“L’errore più grande da parte delle aziende è quello di difendersi dagli attacchi informatici utilizzando un mix di strumenti – ha dichiarato Jeetu Patel, executive vice president and general manager of security and collaboration at Cisco -. Occorre invece considerare piattaforme integrate, grazie alle quali le aziende possono raggiungere un grado di resilienza sufficiente colmando allo stesso tempo il loro gap di preparazione nei confronti della cybersecurity”.

Generazione Z e KIDS: un business da 7 miliardi di euro

Quello che ruota intorno alla GenZ e ai Kids italiani è un mercato che vale oltre sette miliardi di euro.
A tanto ammonta la spesa per i bambini da 3-13 anni e dei giovani da 14-19, cresciuta nel 2022 del 10% rispetto al 2021, complice il ritorno alla normalità di quasi tutti i mercati. A rivelarlo è BVA Doxa, che insieme a MLD Entertainment ha analizzato otto maxi-comparti, abbigliamento 0/14 anni, cinema, libri, TV, giocattoli, parchi, cartoleria e edicola, calcolando l’impatto sui consumi Kids e GenZ. E la crescita è guidata da abbigliamento e giocattoli, che con i rispettivi 4,5 miliardi e 1,5 miliardi di euro occupano il 70% del totale.

Parchi, cinema, libri

In forte recupero il fatturato dei parchi italiani, che secondo l’Associazione Parchi Permanenti Italiani/Confindustria nel 2022 tornano ai valori pre-pandemia a quasi 400 milioni di euro.
“Un dato confortante, cui corrisponde tuttavia il sorpasso di questo settore sul cinema, che pur con una vistosa crescita di incassi al botteghino dell’86% arriva a 272 milioni di euro – spiega Paolo Lucci di MLD Entertainment -.  Incassi che, per il 58%, provengono da film per famiglia, confermando una forte vocazione del settore ai kids”.
Quanto ai libri per ragazzi, sommati ai dati dei fumetti, portano il comparto a 300 milioni di euro, il 22% di tutto il mercato editoriale italiano del 2022 (dati AIE – Associazione Italiana Editori).

Come cambia il tempo libero in famiglia?

Se il gioco è l’ingrediente centrale del tempo libero dei 5-9 anni (60%), tra i più grandi la socialità diventa prioritaria. Le esperienze fisiche si arricchiscono di nuove tecnologie, dalla realtà virtuale al podcast, che riescono a dare una spinta al coinvolgimento dei ragazzi. Il gaming si conferma però una delle attività principali del tempo libero (50%), un ponte per i ragazzi verso le nuove forme di web in cui si possono già apprezzare evoluzioni vicine a un’idea di metaverso, un nuovo possibile territorio di investimento per i brand.

Il ruolo di social e influencer negli acquisiti

Quasi raddoppiata rispetto al 2019 la quota dei piccoli di 5-9 anni che hanno accesso ad almeno un social. Un aumento ancora più importante nella fascia 8-9 anni, decisamente significativo nei ragazzi tra 10-11 anni, e irrinunciabile per gli over 12.
“YouTube continua a crescere ed essere protagonista tra i piccoli fino a nove anni. A modificare gli equilibri – commenta Cristina Liverani di BVA Doxa -, la crescita di TikTok. Punto di riferimento per i 10-11 anni, si afferma anche tra i più grandi superando anche Instagram tra i 14-16 anni”.
Ma YouTube, Tiktok e Instagram sono vetrine di prodotti. Esposti a influencer, dai più specifici per la loro età ad altri più o meno famosi, anche Kids e GenZ sono pronti a recepire i suggerimenti che girano sul web.

Lavoro: le aziende non trovano i profili necessari

Secondo una ricerca condotta a livello internazionale da McKinsey e ripresa dal World Economic Forum, 3 aziende su 4 non riescono a trovare i profili necessari per la propria crescita. In pratica, il 43% delle aziende lamenta carenze di competenze all’interno della propria forza lavoro, percentuale che nei prossimi 5 anni potrebbe arrivare all’87%. Tra le principali e più difficili sfide delle aziende, oggi come domani, figura infatti proprio la selezione del personale. Senza i talenti necessari e le competenze indispensabili la crescita è preclusa, ed è a rischio anche la stabilità aziendale. Tanti processi di selezione del personale si chiudono quindi con un niente di fatto, con importanti perdite di tempo, denaro ed energie. 

Inflazione e crisi energetica non hanno scalfito il bisogno di talenti

Inflazione, crisi energetica, problemi geopolitici sembrano non aver scalfito il bisogno di talenti delle aziende. In uno scenario di questo tipo diventa fondamentale individuare una soluzione efficace, e allo stesso tempo conveniente, per attirare i talenti.
“In un mercato come quello attuale aumentano di mese in mese le aziende che si rivolgono a un head hunter per la ricerca di dirigenti, middle manager e personale qualificato – conferma Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati -. Se infatti normalmente il recruiting si affida al classico annuncio di lavoro, l’head hunting parte da una base diversa, prendendo in considerazione anche i candidati passivi, ovvero le persone che non sono alla ricerca attiva di lavoro, e che quindi non rispondono all’annuncio”.

Meglio affidarsi a una società di head hunting 

Affidandosi a una società di head hunting diventa quindi possibile attirare un numero più alto di candidati, soprattutto in un mercato dominato dal gap tra domanda e offerta. Ma questo non è l’unico vantaggio.
“La nostra società conta cacciatori di teste specializzati nelle varie aree di interesse, head hunter che quindi coltivano nel tempo un prezioso network di contatti all’interno dei singoli settori – continua Adami -: la ricerca del personale diventa così non solo più efficace, ma anche più rapida, per arrivare più velocemente all’assunzione del talento ricercato. Non va poi trascurato che un cacciatore di teste specializzato conosce perfettamente le esigenze delle imprese, e parla lo stesso linguaggio dei candidati”.

Un partner prezioso dei reparti Risorse Umane

Così facendo l’head hunter diventa un partner prezioso dei reparti Risorse Umane. Mentre le figure interne non perdono tempo nella selezione del personale, il cacciatore di teste gestisce in prima persona la ‘scrematura’ dei candidati e i colloqui di selezione, comprimendo le giornate necessarie e complessivamente, anche i costi.
“Grazie all’intervento di un head hunter esperto aumentano le probabilità di trovare il talento ricercato con un solo processo di selezione del personale, abbattendo le probabilità di dover ripetere questa attività o di finire per assumere la risorsa sbagliata – aggiunge la fondatrice di Adami & Associati -, evenienza che per un’azienda presenta costi molto importanti”.

Italiani più consapevoli e attenti allo spreco dell’acqua

A causa del caro vita il 94% degli italiani ha modificato le proprie abitudini domestiche in relazione agli elettrodomestici, riducendo l’uso dei sistemi di riscaldamento (52%) e lavatrice (46%), e prestando maggiore attenzione ai consumi di energia/gas (50%) e acqua (38%). Il 62% inoltre è preoccupato dai costi di questa risorsa. Secondo uno studio realizzato da Finish, in collaborazione con Ipsos in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2023, il 77% degli intervistati dichiara infatti di provare a ridurre il più possibile lo spreco d’acqua nella propria quotidianità, aumentando l’attenzione anche ai costi legati ai consumi domestici.

Più coscienti, ma ancora troppo “spreconi”

Insomma, gli italiani sono più coscienti della scarsità dell’acqua in Italia (41%) rispetto al 2022 (25%). Aumenta anche la consapevolezza rispetto alle aspettative future: il 31% si dichiara d’accordo con le previsioni del World Resources Institute, secondo cui l’Italia entro il 2040 vivrà in una condizione di profondo stress idrico. Se attenzione e consapevolezza sul tema sono per la prima volta in crescita dal 2020 rimangono alcuni comportamenti da migliorare. Gli italiani si confermano infatti tra i più spreconi in Europa, con 220 litri giornalieri pro-capite contro i 165 di media europea, a cui si aggiunge una scarsa consapevolezza. Solo il 46% è infatti cosciente di questa situazione.

Un consumo medio giornaliero pari a circa 500 litri a famiglia

Quanto al consumo medio per famiglia, il consumo medio giornaliero in Italia è di circa 500 litri, ma questo dato è riconosciuto solo dal 4% degli italiani. Più del 68% è invece convinto che il consumo medio giornaliero per famiglia sia inferiore ai 100 litri. Ma quali sono i comportamenti che gli italiani mettono in atto per provare a ridurre il proprio impatto sull’acqua? Il 68% dichiara di chiudere i rubinetti quando non necessario, il 71% di utilizzare la lavastoviglie solo a pieno carico, il 53% si impegna a fare docce più brevi, il 60% preferisce la doccia alla vasca. Il 33%, poi, sceglie di non sciacquare più i piatti a mano prima di metterli in lavastoviglie.

Risparmiare si può, anche con la lavastoviglie

Un dato, questo, che pone in evidenza l’impegno di sensibilizzazione portato avanti da Finish negli ultimi anni, e in linea con l’aumento del 3% registrato nel 2022 rispetto al 2021 e del 7% rispetto al 2020.
Tutto ciò si traduce in una stima circa il numero di famiglie (oltre 1.300.000 in tre anni) che hanno scelto di adottare questo comportamento. Con un risparmio d’acqua di 38 litri a ogni lavaggio e calcolando la media di utilizzo della macchina in una settimana (4,56 volte), questo comportamento ha determinato un risparmio complessivo di oltre 16,6 miliardi di litri d’acqua in tre anni, pari circa a 6.800 piscine olimpiche.

Lavoro: l’87% delle donne è ottimista, ma permane il pay gap

Tra le donne italiane prevale l’ottimismo per la riduzione del gender gap nel mondo del lavoro. Secondo l’87% delle intervistate dal sondaggio condotto da The Adecco Group Italia, dal titolo Donne & Lavoro – Il lato positivo, nel prossimo futuro la situazione lavorativa delle donne migliorerà. In particolare, secondo il 20% delle intervistate, aumenterà la presenza femminile nei ruoli manageriali, come CEO, Country Manager, o Amministratore Delegato. La ricerca di The Adecco Group Italia è basata su un ampio campione composto da aziende e da lavoratori, ma prende in considerazione unicamente le risposte femminili.

Ancora scarsa flessibilità e lenta crescita professionale

Secondo i risultati dell’indagine rimangono comunque sfide strutturali per il sistema Paese. La ricerca evidenzia infatti anche i principali ostacoli che le donne incontrano nel loro percorso professionale. In particolare, per il 30% delle intervistate tali ostacoli consistono in una scarsa flessibilità lavorativa, per il 29% si tratta del gap salariale e per il 17% la crescita professionale è troppo lenta. Inoltre, emerge da parte delle donne anche un’attenzione sempre maggiore verso la qualità della vita. Tanto che il 40% del campione considera il bilanciamento tra vita e lavoro un aspetto fondamentale, seguito, per il 25%, dallo stipendio e per il 22% dalla possibilità di crescita professionale.

In alcuni settori la presenza femminile è ancora troppo debole

Per migliorare la situazione, secondo le intervistate, le sfide principali che il Paese dovrà affrontare sono legate sia a una questione culturale sia ad azioni pratiche. L’aspetto culturale riguarda il fatto che in alcuni settori la presenza femminile è ancora troppo debole, a causa di fattori legati alla consuetudine a non ricoprire determinati ruoli o posizioni. Secondo circa il 65% delle intervistate è quindi importante aumentare la consapevolezza sulle possibilità di carriera già durante gli anni scolastici.

Più equità salariale, welfare e incentivi all’imprenditorialità femminile

Per quanto riguarda le azioni pratiche da intraprendere per attuare un cambiamento, sono legate soprattutto a equità salariale (per il 33%), welfare e misure di sostegno alla famiglia (per il 28%), e incentivi all’imprenditorialità femminile (per l’11%). Solo il 2% delle intervistate mostra di credere all’utilità delle quote rosa come strumento di cambiamento. Di fatto, i principali motori di questo cambiamento secondo le intervistate dovranno essere lo Stato italiano (per il 35%), le aziende (per il 28%), e l’Unione Europea (per il 18%).